Gianni Mura e Cesare Prandelli. Due personaggi apparentemente lontani, accomunati naturalmente dal calcio. E invece il destino ha voluto che il giorno del ricordo di Gianni Mura, a un anno dalla sua scomparsa, sia arrivato poche ore prima della rinuncia di Prandelli a restare sulla panchina della Fiorentina. Il gesto dell’ex tecnico della Nazionale ci regala però, al di là della sentita solidarietà umana per la difficile scelta, finalmente una luce sul mondo del calcio milionario e sempre più asettico.
Cesare Prandelli con le sue parole (“In questi mesi è cresciuta dentro di me un’ombra che ha cambiato anche il mio modo di vedere le cose”, “Probabilmente questo mondo di cui ho fatto parte per tutta la mia vita, non fa più per me e non mi ci riconosco più”) avrebbe sicuramente ispirato un maestro come Gianni Mura. Gli avrebbe sollecitato riflessioni autentiche sul mondo del calcio, che Mura vedeva tanto distante da sé nella sua accezione più marcatamente “moderna”. In un certo senso gli avrebbe forse anche suggerito una qualche forma di ringraziamento nei confronti di una persona, mai personaggio, per il quale quel mondo ha rappresentato comunque tutta la vita ma che ancora una volta ha messo l’uomo davanti a tutto. Prandelli ha ricordato a tutti, protagonisti e non del calcio ma anche dello sport in generale, che l’agonismo esasperato, la spersonalizzazione di storie e gesti sportivi mal si concilia con la visione pura e sana che oggi resta patrimonio di una minoranza di cosiddetti “addetti ai lavori”. Cesare Prandelli non si riconosce più in questo modo di vedere il calcio, e forse così facendo suscita in tanti riflessioni che possono essere sopìte, travolte da una velocità supersonica che consuma tutto in pochi secondi.
Dopo la tremenda delusione del mondiale brasiliano, Prandelli probabilmente ha iniziato a vivere il calcio in modo diverso. Ha voluto riflettere più di quanto avesse fatto fino a quel momento su quello che lo circondava. Ha lottato, ha continuato a coltivare la passione di una vita, senza mai staccarsi dalla realtà, anzi spesso tuffandosi in prima persona nella vita reale. Fino all’estremo atto d’amore per la Fiorentina e per Firenze, dove è ritornato prendendo una squadra in corsa con tante speranze. Ha dato il suo grande contributo come sempre, risollevando anche in parte una squadra spesso vittima di se stessa. Ma alla fine ha ceduto. Dopo la pur brillante vittoria di Benevento ha parlato di “stanchezza”, e forse molti hanno sottovalutato quelle dichiarazioni a caldo. Cesare voleva semplicemente annunciarci che aveva deciso di staccare la spina da quel mondo, che per lui tanto aveva significato. Non è una resa, anzi. E’ la vittoria dell’uomo, delle debolezze e delle emozioni vere, di una persona che proprio per questo ha trovato sempre più difficoltà a identificarsi con il calcio. O perlomeno con quello che il calcio per lui ha sempre rappresentato. Con la sua scelta sicuramente sofferta però, Cesare Prandelli ha dato voce a tanti. A quelli che il calcio travolge con le sue passioni effimere, dimenticando però troppo spesso l’emozione vera e la sensibilità degli uomini. Un gesto che certo avrebbe compreso, e probabilmente condiviso, anche lo stesso Gianni Mura, cantore di uno sport da “osteria” di cui ormai si sono perse le tracce. E allora, grazie Cesare. Nell’augurarti le migliori fortune, ti ringraziamo per quello che hai dato finora allo sport, consapevoli che il tuo silenzio e la tua scelta regalano una preziosa parentesi di umanità a un mondo che speriamo davvero ne faccia tesoro.
Antonio Lionetti