Si comunica che sabato 12 dicembre 2015 alle ore 16,00, presso il museo rossonero posto sotto la Curva Ovest, si terrà la presentazione in anteprima del libro “Gli undici graffi della Pantera” scritto dal giornalista lucchese Fabrizio Vincenti .
Di seguito si riporta la prefazione al libro per gentile concessione di Eclettica Edizioni e dell’editore Alessandro Amorese che sarà presente sabato pomeriggio alla presentazione.
Un numero che nel calcio vuole dire tutto. E probabilmente la difficoltà maggiore di questo volume è stata proprio contenere in questo numero magico le partite memorabili della Lucchese e i tifosi da selezionare. Una scelta però inevitabile per chi, come noi, crede nel valore simbolico delle cose. Undici gare speciali, ovvero che hanno lasciato un graffio, un segno indelebile nei tifosi. Nel bene o anche nel male. Ma che sono indimenticabili. Il compito non era semplice, nello scegliere le undici gare ci sono arrivati in continuazione suggerimenti: “Ci sarebbe anche quella di…”. Già. Sarebbero molte di più. Ma una scelta andava fatta. Per tramandare momenti che a tanti continuano a dare brividi e commozione. Gli undici graffi della Pantera nasce proprio dalla volontà di narrare a chi non c’era, ma anche ricordare a chi c’era. E di farlo attraverso le voci narranti di chi a quelle undici gare era presente come tifoso. Soffrendo, gioendo, piangendo. In ogni caso conservando un graffio che gli è rimasto sulla pelle. Lasciato dalla Pantera come un tatuaggio. Indelebilmente.
Undici delle gare che le tante formazioni rossonere che si sono succedute negli anni dal dopoguerra a ora hanno consegnato alla storia. Una storia fatta di successi bellissimi, come quelli degli anni d’oro di Orrico e Maestrelli, o come la promozione sofferta e sudata sino allo spareggio di Livorno contro la Sarzanese, senza dimenticare l’indimenticabile trionfo di Correggio. Una storia, quella rossonera, fatta anche di sconfitte brucianti, che non passano a distanza di ormai tanti anni. Come quell’infernale spareggio con la Triestina e quel palo che hanno forse cambiato il destino della Lucchese per almeno un decennio. O come quel pari di Ferrara che ha segnato un’epopea probabilmente irripetibile se a distanza di quasi quarant’anni se ne continua a parlare. Proprio su quella gara è caduta la scelta della copertina, in quell’età di mezzo tra l’epoca mitica della Lucchese in serie A, a contatto dei mostri sacri del calcio come il Torino perito a Superga, e i giorni nostri. E non a caso abbiano scelto un tifoso e non un giocatore. Come non a caso abbiamo scelto una bandiera e non un pallone. Tifosi e bandiere: il calcio è prima di tutto questo. Senza di loro sarebbe solo uno spettacolo come tanti, magari da lasciare qualche minuto prima della fine per evitare le code al parcheggio. Ma il calcio è altro.
Il calcio è fatto di un’anima che solo chi è tifoso può custodire. E anche a Lucca la sua anima va tenuta viva, come una merce rara, perché la passione e il senso comunitario che emanano il calcio in questa epoca di individui sempre più isolati, anche dalle nostre parti, è un bene da difendere con le unghie e con i denti. Undici partite, undici graffi incisi sulla pelle e nei cuori di chi ama la Pantera descritti da chi c’era, da chi quelle gare le ha viste. Vissute. Sofferte. Amate. Come si può amare un momento importante della vita. Bello o brutto che sia, ma che si ha dentro per sempre. Undici gare descritte da chi scandisce gli anni pensando alle gare che si sono svolte in quella stagione, che lega gli eventi della vita a una trasferta. A un gol. A un campionato. A uno striscione. A un pranzo consumato in fretta con l’adrenalina che ormai ti cattura in attesa del fischio d’inizio. La magia del calcio è sempre la stessa, per quanto provino, giorno dopo giorno, a spegnerla affogandola in un telecomando o in divieti che a nessun altro settore di questa malandata e decadente società viene riservato. E’ a tutti loro che parla questo volume. A chi, tanti anni fa, magari accompagnato da un genitore o da un amico o anche da solo, si è battezzato all’ultima manifestazione sacrale della vita, come usava ricordare Pier Paolo Pasolini. Ha varcato la soglia di uno stadio per decidere che quello sarebbe stato anche casa sua. Per sempre.